Pieghe della memoria

2011_opere

Chiesa di San Gregorio – Cherasco (CN) – personale

«La vita è sogno, soltanto sogno. Il sogno di un sogno.»

Questa frase, pronunciata da Miranda (Anne-Louise Lambert) nell’incipit del film Picnic ad Hanging Rock, divenne, in breve, una citazione cult della cinematografia. Una premessa, o un messaggio, che intendeva avvertire lo spettatore che sarebbe stato coinvolto ben presto in un racconto enigmatico, magicamente sospeso tra la realtà e il sogno. È l’immutabile fascino del cinema che può agevolmente interpretare molte situazioni, episodi realmente accaduti, palesemente falsi o totalmente inventati. Realtà, finzione, immaginazione e sogno. Nella realtà quotidiana, Paola Rattazzi, sviluppa nei suoi quadri vari argomenti. Sono delle “storie” che appartengono, probabilmente, anche ai suoi sogni. Racconti apparentemente semplici, in molti casi, altre volte più ermetici, ma narrati minuziosamente, anche attraverso un’appropriata combinazione dei vari elementi descritti. È la sua personale forma di espressione; un linguaggio, molto affine, in un certo senso, alla definizione di “contenuto manifesto”. Un concetto che corrisponde, nel pensiero di Freud, alla rivelazione della storia e degli elementi che appartengono al sogno, così come vengono ricordati. Simboli che dovranno essere pertanto filtrati, analizzati ed interpretati. Paola descrive quindi i suoi ricordi, le sue emozioni, i suoi desideri, narrandoli nelle sue tele; in questi spazi delimitati e preordinati, si confida, non per dipingere quello che vede, ma piuttosto quello che sente intimamente. Nei suoi racconti incontriamo paesaggi incantati con alberi modellati dal vento, bellissime notti blu… tante stelle e nuvole, e poi, grandi lune… Molta natura, insomma, ma nei suoi dipinti non c’è alcuna propensione verso una qualsiasi forma di naturalismo, ma si evidenzia esclusivamente, invece, l’originalità dei temi trattati e l’indiscussa personalità dell’artista, intenta a rappresentare soltanto il “suo” mondo interiore: un universo di poesia, costellato di segni e di simboli. Natura, ambiente, paesaggio… Nei paesaggi, Paola Rattazzi, raggiunge, probabilmente, la massima espressione della sua cifra stilistica, un “fervore” creativo che si manifesta nell’eleganza formale dell’impianto, distribuito, in piena autonomia costruttiva, su fasce orizzontali, piani inclinati e in un raffinato equilibrio cromatico. In queste composizioni scopriamo un paesaggio insolito, inatteso, descritto, a volte, come in una fantastica visione à vol d’oiseau. Paola coglie l’essenza degli elementi paesaggistici fondamentali, catturandoli in una puntigliosa sintesi morfologica, anche quando le forme sembrano tendere, progressivamente, all’astrazione. Dolci declivi, anse e curve sinuose ed interessanti campiture, suddivise in partiture, complementari, dove si inseriscono altri curiosi riquadri asimmetrici. Forme e spazi, ricamati con morbide trame di linee accostate, o singoli tratti, a volte nervosi, essenziali, tracciati accanto ad altri minuscoli segni circolari, autentici “elzeviri” culturali, dipinti. Sono probabilmente frutti, fiori, corolle, gemme, pollini o piccoli semi. Segni, che ci rimandano al preziosismo decorativo dei grandi maestri dell’arte mitteleuropei, ma anche alle inconfondibili fonti del suo immaginario figurativo. Nascono così le sue liriche sequenze, opere che rappresentano spesso una striscia di terra, una nuvola, un’onda o un vortice d’aria, realizzate con figurazioni allungate, che sembrano animarsi e protendersi, avvolgenti, quasi delle entità. Forme imponenti e travolgenti, talvolta, altre volte più esili, appena percettibili. Un trait d’union che unisce, lega e collega, trattiene… Sono impressioni, che non riproducono, ma piuttosto rispecchiano, riflettono un ambiente fiabesco, trasognato, sospeso, a volte surreale. Ovunque, appare evidente il senso di continuità, di interazione o di compenetrazione, l’esistenza di un rapporto privilegiato, assoluto, tra le sensazioni provate, sentite, e quelle che l’artista, di volta in volta, infonde nelle sue tele, trasmette. In queste sue nitide visioni, si respira il fascino dell’insieme: segno, ritmo e colore. Perché il colore è usato come risonanza, come virtuoso elemento di armonia visiva. Colori luminosi, dai toni evocativi, tesi ad esaltare l’intensità delle emozioni vissute in quell’istante. Impressioni raccolte nella sua “memoria” creativa e tradotte, d’istinto, nella scioltezza del gesto. Ritmicità lineare e talento decorativo, ma soprattutto poesia, come in quei sorprendenti acini d’uva che volteggiano, leggeri e trasparenti, nell’aria… Esaminando più attentamente i suoi lavori, scopriamo un’infuocata terra di Langa, rapita, come in un vortice, di rosso acceso, o la campagna salentina, come nel pregevole Primitiva, terra di cultura antica, bruciata dal sole, descritta con luci abbacinanti ed ombre forti. Ma anche altre equilibrate variazioni cromatiche, come le suggestioni che si respirano in primavera o in autunno, con il profumo dei peschi in fiore o della lavanda, l’odore della pioggia e della terra impregnata, descritta con dei grigi perlacei che si perdono nell’azzurro e nel blu, un intenso “blu polvere” o “carta da zucchero”, come per I pensieri dell’albero, Quando piove o la grande tela Le colline di seta, ma anche Prunus, Violetta e i pensieri o Appunti di un sognatore, dove dominano il rosa o il viola… Racconti di terre lontane, ma anche armoniose colline, campi e prati, teneri fiori allungati, protesi verso la luce, e alberi, dalle chiome arrotondate, tracciati con segno morbido e sicuro. Accanto a questi compare, talvolta, anche un albero, stilizzato, quasi una ghirlanda, una forma che sembra alludere all’Ankh, il misterioso simbolo della “Chiave della vita” per gli antichi egizi. Paola sembra conferire agli alberi, e a quest’albero, un significato molto particolare. Un senso di sicurezza e protezione, di fiducia, di forti legami. Simbolismo ed ermetismo, protetti dalla sua personale chiave di lettura. Opere che si distaccano nettamente dai lavori del triennio precedente che esprimevano una condizione ed un periodo di concepimento diverso, con esiti decisamente più angoscianti, struggenti o malinconici. Sentimenti molto evidenti in quadri particolarmente significativi, quali: Infinitamente lontana e Come ti chiami angelo perso?, oppure di velata denuncia, come intendeva suggerirci forse con il suo Sogno di palazzi assurdi. Un repertorio che comprendeva anche altre intense atmosfere, come quel senso di avvolgente nostalgia che pervade Semplicemente aspettami, un quadro delicato e penetrante, semplice, quanto fortemente evocativo o ancora altri lavori, collegati a didascalie più misteriose o perturbanti, come lo sono talvolta i sogni: My secret life e Segreti, ad esempio. Due quadri che contengono, entrambi, una finestra ampia e dominante, singolarmente raffigurate, però, con le persiane spalancate, aperte all’esterno. In effetti, le sue opere contengono sempre un palinsesto o una sceneggiatura: “Scenari sospesi – Dipinti tra il sonno e la veglia”, così come titolò una mostra personale. Sospesi, perché la maggior parte degli elementi descritti, sembrano librarsi nell’aria, leggeri, come immersi in un tempo ed in uno spazio indefinito, in una dimensione di sogno. Lievi, imperturbabili, anche quando sono curiosamente dipinti al rovescio. Sono impressioni o la rievocazione di esperienze passate, frammenti di vita, già vissuti o ancora da assaporare, gioie e tristezze, ricordi e riflessioni che si rincorrono nei suoi pensieri. Memorie dunque, segni o indizi, tradotti nel sottile fraseggio delle sue fantasie colorate, che attingono anche ai suoi sogni, quelli, come lei sostiene: «… che restano sul cuscino al mattino …». Forse sono proprio le impronte dei sogni, o meglio, di quei ricordi sfocati che ci lasciano piacevolmente sorpresi, talvolta anche turbati, e svaniscono, così, rapidamente, tra le dita e le membra intorpidite, nel nulla, mentre gli occhi si stavano lentamente riaprendo, ma non vedevano ancora. Oppure, potrebbero essere quelle sensazioni cercate, subito dopo o in altri momenti della giornata o tempo dopo… e riscoperte, poi, in tutto o in parte, finalmente… in quei meravigliosi istanti che solo un magico “sogno ad occhi aperti” ci può regalare. Il rifugio segreto della fantasia, quando si ripresenta impellente il desiderio di ritrovare e di condividere ancora, almeno per un attimo, un luogo ed un tempo ideale, il calore di una mano amica, quelle cose mai dette… o chissà, il tenero contatto con quelle labbra…D’altra parte, a chiunque può capitare, nel corso dell’esistenza, di incrociare alcuni momenti, sicuramente molto meno belli, dove il tempo sembra non passare mai. Ma nel frattempo, invece, la vita scorre sempre, verso l’ineluttabile, ed è breve, come un sogno. Al termine di queste mie ultime divagazioni, possiamo senz’altro affermare che nell’opera di Paola Rattazzi, si possono tranquillamente ravvisare le inconfondibili note di una pittura intimistica, introspettiva, caratteristiche ascrivibili alla cosiddetta “pittura di sentimenti”. Una concezione dell’arte che risponde, innanzitutto, a delle precise motivazioni dettate da altrettante, quanto inalienabili, esigenze interiori. Arte concretizzata, in questo caso, anche attraverso la sorprendente carica emotiva ed espressiva dell’artista, che si esprime con una ludica, e solo apparentemente ingenua, visione degli elementi. Un’artista che manifesta ancora intatto, inoltre, il gusto della ricerca, della scoperta e di sapersi stupire, di provare meraviglia quindi. Qualità che potrebbero rivelarsi infine il vero “segreto” della sua forza espressiva. Lei non ama raccontare o decodificare il significato delle sue opere, semplicemente le espone, accanto ai suoi pensieri, raccolti in delicatissimi versi; preferisce affidarsi, confidando di suscitare delle sensazioni inattese. Ma non dipinge mai rapportandosi ad un ipotetico o favorevole indice di gradimento, lavora solo ed esclusivamente per sé e per portare avanti le sue idee. Le sue particolari atmosfere suggeriscono o tradiscono l’intensità delle emozioni vissute; sentimenti profondi, palpabili, intelligibili anche “tra le righe” di un suo pensiero, dal sapore autobiografico: «Se fossi d’acqua…starei sospesa, come un punto interrogativo, aspettando il vento a tracciare le mie forme». Nei suoi quadri non troviamo mai l’esibizione del segno fine a sé stesso, anche se Paola, dopo la maturità artistica, si è laureata in grafica all’I.S.I.A., ad Urbino, notiamo invece un segno sciolto, fluido, a tratti gestuale, senza ripensamenti, frutto di un forte convincimento interiore. Lei studia e prepara accuratamente i fondi delle sue tele, con stucco, gesso, collage, talvolta con sabbie, ma non cerca mai l’ostentazione dei materiali impiegati, perché questi sono funzionali ad uno scopo, in quel preciso momento, per completare e rafforzare un’idea. Nelle sue opere c’è sempre un progetto. Poi stende i colori acrilici, generalmente con le mezze tinte, meno aggressive. Lo fa con piccole pennellate, altre volte più ampie, rapidamente, talvolta quasi di getto, seguendo degli impulsi o ritmi dettati dalle sensazioni del momento. Sempre descrittiva, leggera, anche nelle sue “visioni” più malinconiche, non usa tonalità scure o tenebrose, ma preferisce ovviare a quella scelta comunicando, piuttosto, attraverso la simbologia. Mostra un gusto raffinato nelle decorazioni che si manifestano in punti, linee, cerchi o curiose spirali, che sembrano rifarsi alla “Rosa del deserto”, realizzati con leggeri tocchi di pastello ad olio, senza accanirsi, senza strafare, lasciando infine morire il segno nell’aria. Ma Paola Rattazzi è anche “figlia” di quella cultura degli anni Novanta e dei moderni sistemi di comunicazione di massa, l’attuale civiltà dell’immagine, nelle sue diverse forme di espressione, con la quale l’Arte ha dovuto infine confrontarsi, e lavora da più di dieci anni nel campo della grafica pubblicitaria ed editoriale. Paola è stata, e tuttora lo è, un’apprezzata illustratrice ed ama molto anche la fotografia, una passione coltivata da tempo. Proprio alcuni dei suoi scatti o autoscatti, sono stati recentemente al centro della sua produzione artistica, l’effetto di un atteggiamento o di una concezione diversa, ma sempre intimamente legata, mai disgiunta dal suo favoloso mondo interiore. In queste tele, di grandi dimensioni, accanto alle situazioni narrate, irrompono anche le immagini della figura femminile, lo straordinario involucro di un altro universo, il “pianeta” donna o “l’altra metà del cielo”, così come Mao Tze-Tung la definì. Immagini vibranti, indagate e successivamente rielaborate al computer, stampate in bianco e nero o in tenui colori, sezionate e montate separatamente sulla tela per essere poi integrate con la pittura. Sono sequenze del volto, talvolta anche dei nudi, come in Pieghe della memoria oppure A metà del vento. Morbidi volumi e linee armoniche, immersi nel chiaroscuro, immagini affascinanti, dirette e coinvolgenti. Sensuali, ma molto discrete, perché, anche in quest’occasione, il “senso” più profondo di questi lavori è semplicemente costituito dalle emozioni racchiuse nel racconto e negli elementi che, di volta in volta, andranno a ridisegnare le sue tenere storie. Figure e simboli, come per Il giorno che scelse la notte, Il gioco dell’angelo o Gli amici immaginari. Corvi, farfalle, fiori, l’ironica sagoma di un animale, un angioletto o stelle cadenti: emozioni sospese tra realtà e fantasia, narrate in un’atmosfera dolce e sensuale, ma descritta con disarmante innocenza; candore e poesia… In questi lavori l’artista si racconta, lasciandosi poi trasportare in un fantastico viaggio tra le “pieghe” della memoria. Un ritorno alle origini, alla riscoperta dei valori più importanti: la terra, la natura e il paesaggio, le sue radici, il senso più profondo dell’esistenza. Pieghe della memoria, è anche il titolo del primo quadro della serie, un’opera del 2009 che abbraccia, anticipandoli, i contenuti culturali e simbolici che “stigmatizzano” la produzione più recente. Paola ha scelto di ricostruire una sua iconografia, privata e autoreferenziale, fissando sulla tela, attraverso varie fasi, la stratificazione dei suoi stati d’animo, le sue osservazioni ed i suoi pensieri, anche i più intimi, per comprendersi, per ritrovarsi nell’arte e per comunicare. L’artista ha impiegato, in questo caso, la tecnica mista con la fotografia digitale, ma non utilizza l’immagine fotografica soltanto per praticità ma, al contrario, la nobilita, conferendogli un’importanza soggettiva, quella di elevarla a documento. Un’esperienza che contiene, nel contempo, anche un viaggio a ritroso nella memoria, per ripercorrere alcuni passaggi, attraverso dei rimandi, ricorrendo quindi anche a dei flashback, alla ricerca di immagini o “documenti storici”, appunto. Sono delle testimonianze che appartenevano, come appartengono, ad un istante, ad un momento, superato e superabile da altri successivi momenti o periodi. In questo contesto, la stessa esposizione della figura, ed in particolare del “nudo”, potrebbe significare anche il graduale raggiungimento di un diverso, quanto desiderato, stadio di consapevolezza. Un altro livello che contiene, al suo interno, un senso di astrazione, di liberazione mentale e interiore, da una pregressa condizione di fisicità e dai carichi materiali e psicologici connessi. Adesso l’artista si sente più libera di agire sulla tela con immediatezza, attraverso pennellate più decise e pastose, perché in questa fase non sta iniziando il quadro, ma lo porta a compimento, l’opera era già stata meditata da tempo. Opere che raccontano storie inedite, esplicitate con le immagini del viso, delle mani, della schiena, dove la figura si dissolve; una femminilità simbolica ma viva, pulsante e vitale. Ne deriva un linguaggio dolce e suadente, sereno o trepidante in certi momenti, a volte malinconico, ma sempre sussurrato. È il suo riflesso, la proiezione dei suoi sentimenti, l’anima, che entra nel suo mondo fantastico, per prendere parte ai suoi racconti più veri.

Paolo Infossi